
Sentenza della Corte Costituzionale: novità sull’integrazione al minimo (www.torrese.it)
Una svolta significativa per i titolari dell’assegno di invalidità arriva dalla recente sentenza n. 94/2025 della Corte Costituzionale.
Con la decisione depositata il 3 luglio 2025, la Corte Costituzionale ha cancellato la norma contenuta nell’articolo 1, comma 16 della legge n. 335/1995 (la cosiddetta riforma Dini), che escludeva dal diritto all’integrazione al minimo i pensionati il cui assegno fosse stato calcolato con il solo sistema contributivo, cioè con i contributi versati esclusivamente dal 1° gennaio 1996 in poi.
Fino a oggi, l’integrazione al trattamento minimo era riservata solo ai pensionati in regime retributivo o misto, quindi con contributi versati prima del 1996. La Consulta ha invece riconosciuto che questa esclusione è incostituzionale, perché crea una disparità ingiustificata tra pensionati in condizioni analoghe di invalidità e bisogno, ma con differenti modalità di calcolo del trattamento.
La Corte ha infatti sottolineato come l’assegno ordinario di invalidità abbia una finalità specifica, diversa dalla pensione di vecchiaia: è destinato a garantire un sostegno economico a persone con capacità lavorativa ridotta a meno di un terzo, spesso in età ancora non pensionabile. L’integrazione al minimo, quindi, è uno strumento essenziale per assicurare una soglia minima di sostentamento.
Tuttavia, per evitare un impatto immediato e oneroso sulle finanze pubbliche, la sentenza ha effetto solo per il futuro: il diritto all’integrazione sarà riconosciuto a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale, senza corresponsione di arretrati per il passato.
Chi può beneficiare dell’assegno ordinario di invalidità e come funziona l’integrazione al minimo
L’assegno ordinario di invalidità è una prestazione previdenziale erogata dall’INPS a favore di lavoratori dipendenti, autonomi e iscritti alla gestione separata che abbiano una capacità lavorativa ridotta permanentemente a meno di un terzo a causa di infermità fisica o mentale.
Per accedere all’assegno, è necessario aver versato almeno cinque anni di contributi, di cui tre negli ultimi cinque anni, e superare la visita medico-legale che attesti lo stato di invalidità.
L’importo dell’assegno viene calcolato proporzionalmente ai contributi versati, seguendo il sistema retributivo, misto o contributivo a seconda delle contribuzioni maturate. L’integrazione al minimo interviene quando l’importo dell’assegno risulta inferiore alla soglia minima stabilita annualmente. Per il 2025, tale soglia è fissata a 603,40 euro mensili.
In questo caso, lo Stato garantisce un’integrazione che porta l’importo complessivo dell’assegno almeno a tale livello. Prima della sentenza, questa tutela era esclusiva dei pensionati con sistema retributivo o misto. Ora, con la nuova interpretazione costituzionale, anche i lavoratori con assegni calcolati integralmente con il sistema contributivo potranno accedere all’integrazione, a condizione che rispettino i requisiti contributivi e reddituali previsti.

La questione era stata sollevata dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza del 16 settembre 2024, che aveva messo in dubbio la legittimità costituzionale dell’esclusione dell’integrazione al minimo per gli assegni contributivi.
La Corte di Cassazione ha evidenziato che la normativa precedente era irragionevole e discriminatoria, in violazione degli articoli 3 e 38 della Costituzione, che garantiscono il principio di uguaglianza e il diritto a mezzi adeguati per le esigenze di vita ai lavoratori in situazioni di bisogno.
Nel dettaglio, la Consulta ha ribadito che il sistema contributivo è generalmente meno favorevole rispetto a quello retributivo, quindi negare l’integrazione ai titolari di assegni contributivi avrebbe accentuato ulteriormente le disparità. Inoltre, non vi sono valide giustificazioni di sostenibilità economica per mantenere tale esclusione, poiché l’integrazione al minimo è finanziata con risorse della fiscalità generale e non grava direttamente sui bilanci previdenziali.
Questa pronuncia rappresenta dunque un importante passo verso una maggiore equità nel sistema pensionistico, riconoscendo il diritto a un trattamento minimo dignitoso anche ai soggetti in regime contributivo puro, che fino ad oggi ne erano esclusi.